Ci sarà una strada

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Avvento, tempo della gioia, ci invita ad aprirci alla felicità della promessa annunciata dal profeta Isaia che testimonia l’esperienza della gioia legata al dono ed alla realizzazione delle promesse di Dio: Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo (Is 35,8)

Nonostante la situazione dolorosa, il profeta, ed ogni discepolo del Signore, può annunciare con gioia l’intervento di liberazione, di ritorno alla giustizia, poiché all’umanità sofferente Dio si rivolge con uno sguardo benevolo, con parole di speranza per il futuro, a non aver paura, a riprendere un atteggiamento di fiducia verso il domani. La gioia è motivata dal fatto che il Signore mantiene la sua promessa di vittoria e di salvezza; Egli sta con noi, illumina il presente, l’oggi, e ci stimola a vivere in modo più intenso ogni istante della nostra vita. Il Signore non ci delude mai perché non ci dà l’illusione di liberarci dal male, dal peccato e dalla morte, ma realizza pienamente ogni cosa in Gesù.

Ma ora ci chiediamo: qual è il segreto della gioia? Che cosa è la gioia? In che cosa consiste? E come vivere la gioia? Non è certo una semplice allegria, un’emozione dovuta ad un’esperienza esteriore, al successo della propria attività, un sentirsi contenti, sorridenti, soddisfatti. Papa Francesco ci assicura così: La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia (Evangelii gaudium 1). 

La gioia è sentirsi dentro liberi e non schiavi del male e del peccato che ci allontanano da Dio, anzi essa è ancora di più, in quanto si realizza conducendo una vita buona, irreprensibile e sentendosi disponibili, umili e docili alla volontà di Dio, malgrado le difficoltà, le debolezze le fragilità umane. 

Il Vangelo di questa terza domenica ci presenta Giovanni Battista, il precursore del Signore, che vive un momento di crisi, di fragilità umana: “Sei tu o dobbiamo aspettarne un altro?” (Mt,11) È la fragilità dell’uomo di oggi e la ricerca della verità dell’uomo di sempre. I dubbi non diminuiscono la fede, né allontanano la gioia dell’incontro con il Signore, ma la ravvivano riconoscendo i segni: “andate a dire ciò che voi vedete … i ciechi vedono …” Ciechi, storpi, lebbrosi hanno una seconda opportunità per vivere la gioia, per sentire sulla propria pelle la salvezza operata. Sta a noi dare continuità ai gesti operati da Gesù; certo non opereremo miracoli, ma sicuramente possiamo infondere sicurezza, pace, tranquillità nei cuori in ricerca della vera gioia, in forza della nostra fede. Gesù prima ha fatto e poi insegnato, è l’esperienza della vita che concretizza la nostra fede.

Allora in questo periodo di Avvento siamo particolarmente chiamati a rivedere la nostra vita, nel fare e nel dire, affinché i nostri comportamenti, il nostro stile di vita possano rispecchiare ed essere prima di tutto segno concreto e poi testimonianza dell’Amore di Dio. Ci auguriamo che in questo tempo di attesa possiamo fare esperienza di una gioia che è frutto della speranza di un dono, di un incontro, di una presenza, di una promessa: Dio viene tra noi!  

 

Signore, chi sono io veramente? 

Vorrei dirmi appena voce, soltanto voce e Tu la parola. 

Ma non è così. 

Ho detto parole solo mie, di cenere e sabbia.

Vorrei però essere voce che grida nei deserti 

e che sussurra al cuore che una bontà immensa abita l’universo. 

Vorrei essere solo pulviscolo di luce,

frammento minimo di sole, pur con tutto il mio buio. 

Vorrei essere con la mia vita piccola profezia di te, 

eco di un flauto che suona da altrove.

E così crederanno a te e non a me, Signore, 

a te che ripeti a ciascuno con la voce di Isaia:

Il tronco fiorirà, la parola tornerà dal silenzio,

il lupo e l’agnello pascoleranno insieme. 

E sia la nostra vita voce che dice il cuore buono dell’essere, 

che dice che Tu, Signore, hai un cuore di luce, 

che io, con il mio frammento opaco,

posso essere frammento ospitale del cosmo

riflesso di te, nostalgia di te

venuto come un fiore di luce nel nostro deserto. Amen 

(p. Ermes Ronchi)

Madre Elena oggi suggerisce:

In certe occasioni di dolci ricordi, il cuore sente il bisogno di esprimere parole di affetto.

 

Si corda l'entrata in Cielo di:

Sr.Antonietta Gradenigo nel 1937

Sr. Antonietta Ellersig nel 2003